Gianluca Alzati

alzatiNel libro “Con il tricolore al collo” rivivi attraverso Bepi e sulle orme di Luciano Manara le vicende che hanno portato all’Unificazione Nazionale.
In “Piccola staffetta”, seguendo il percorso di Marco e superando ostacoli e difficoltà, riesci a formare il tanto importante spirito critico nei ragazzi protagonisti.
Nella realtà, nella tua esperienza di educatore, come bisogna “affrontare” i ragazzi affinchè venga fuori questo spirito critico e questa maturazione?

Mi fa piacere questa domanda che associa due tra i miei libri che amo di più e che effettivamente sono uniti da una linea sottile, ma molto evidente. Sono dei cosiddetti bildunsroman o romanzi di formazione dove i ragazzi crescono e maturano questo spirito critico grazie, o nonostante, gli avvenimenti che vivono. Certo, sono anche molto diversi: Con il tricolore al collo è ambientato nel 1848-49 e Bepi è suo malgrado, protagonista di una Storia con la S maiuscola, quella del Risorgimento, che lo stravolge, ma che ne forma anche il carattere. In Piccola staffetta invece Marco vive nel 2015 a settant’anni dalla Resistenza che considera un evento lontano e diciamo… anche un po’ noioso da studiare! In entrambi i casi sono le relazioni, gli incontri, le personalità che incrociano che cambiano le loro vite: Luciano Manara per Bepi e Lidia Menapace, staffetta partigiana, per Marco. Per rispondere alla tua domanda, che tratterò più diffusamente nelle prossime presentazioni del libro, credo che siano soprattutto le relazioni che seminano nei ragazzi i frutti che sbocceranno nel loro futuro.

Tu unisci spesso parole e musica per comunicare ai ragazzi, per cercare di utilizzare un linguaggio comune che si avvicini il più possibile al loro. È solo un problema di linguaggio? Perchè molti adulti si allontanano dai ragazzi invece di avvicinarsi?
No, non è solo un problema di linguaggio, ma certo, parlare la stessa lingua, non solo metaforicamente, aiuta: ecco perchè le mie storie spesso sono storie di ragazzi raccontate da ragazzi. In realtà la mia musica non è esattamente quella che ascoltano i giovani ai quali mi rivolgo. Per parlare la loro stessa lingua dovrei essere forse un rapper con i tatuaggi o al limite il punk alla Green Day, invece le mie canzoni provano a rendere attuale un folk rock cantato in italiano, oggi non proprio di moda nelle giovani generazioni. Ma quando tu vai nelle scuole con la chitarra, quando crei un’atmosfera coinvolgente e le parole e la musica arrivano dirette là dove nascono le emozioni, allora qualche volta i messaggi arrivano e anche gli adulti un po’ rassegnati, riprendono coraggio e cercano nuove strade per condividere i loro valori.

Alla scuola vengono mosse critiche di ogni genere e si dice spesso che è “zoppa”, ma altrettanto spesso ci si dimentica che la sua sopravvivenza è determinata dall’entusiasmo di insegnanti capaci e motivati. Qual è il segreto per andare avanti tra le difficoltà e trovare nuovi stimoli? Basta l’entusiasmo?
Io credo che noi insegnanti facciamo uno dei mestieri più belli del mondo: tutti i giorni possiamo parlare degli argomenti che ci hanno appassionato da giovani, quando facevamo l’università e possiamo parlarne con ragazzi e ragazze che sono bombardati da una società che con i nuovi mass media lancia messaggi di tutti i tipi, ma senza fornire strumenti per decodificarli. È come se noi insegnanti, genitori, educatori ci trovassimo con i nostri ragazzi di fronte ad un enorme numero di libri ammucchiati e sparsi per terra in modo confuso: non dobbiamo più solo leggerglieli, ma soprattutto aiutarli a metterli in ordine nella grande libreria della nostra conoscenza: questo per me è un grande stimolo e tutte le mattine mi sveglio consapevole di aver ancora molto lavoro da fare con loro anche se non ho comprato l’ultimo modello di Iphone!

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